«Con quale autorità fai queste cose? (Mt 21,23). Con queste parole i capi dei sacerdoti e gli anziani si rivolgono a Gesù. San Matteo le riporta qualche versetto prima del testo che abbiamo appena ascoltato.
I capi dei sacerdoti e gli anziani risultano persone che da una parte non si prendono cura del popolo, dall’altra spadroneggiano e si considerano al di sopra degli altri, a loro bisogna chiedere il permesso. Ecco perché chiedono a Gesù di rendere conto del suo operato: con quale autorità fai queste cose?
Gesù risponde con la parabola del vangelo di oggi (Mt 21, 33-43): rivela di essere lui l’erede, il figlio, e denuncia l’abuso dei capi dei sacerdoti e degli anziani che non si occupano del popolo di Dio, non hanno accettato i profeti, li hanno uccisi e ora vogliono uccidere anche Gesù. Questi capi sono come quei contadini della parabola che, non essendo animati dall’amore per il padrone e per la vigna, sfruttano gli altri per il loro interesse e il loro guadagno. Sono false guide del popolo di Israele.
Gesù ci rivela che il Padre non sopporta tutto questo e decide di rivolgersi ad altri, alla Chiesa formata da coloro che, lo sappiamo bene, nonostante siano segnati da fragilità e peccato, hanno creduto in Gesù e lo hanno seguito. Discepoli, semplicemente tali, a servizio del Signore che chiama a lui per servire i fratelli. Persone animate dall’amore per il Padre e per la sua Chiesa.
Sono due le domande dalle quali tutti dobbiamo sentirci interpellati:
- Il Signore, cosa ci chiede di evitare per non sfruttare la vigna a vantaggio di interessi personali?
- Cosa ci chiede di compiere mandandoci nella sua vigna?
In modo particolare voi, Giuseppe, Michele, Michele, Leonardo, Francesco, Salvatore, tra poco diaconi, che sull’immaginetta ricordo avete riportato le parole di San Paolo ai Galati: «Mediante l’amore siate a servizio gli uni degli altri», nel rispondere alla prima domanda, ricordatevi sempre che la vigna, la Chiesa, è di Dio. Nessuno di noi può pensare di esserne padrone, tantomeno un diacono. Siamo dei servitori e se siamo chiamati al diaconato, al presbiterato o a qualsiasi altra vocazione è per rendere concreta la presenza di Gesù servo. Non siamo certo chiamati ad essere dei padroncini nel contesto dove ci troviamo, perché non lo siamo. E non dobbiamo nemmeno apparire tali. Chi ci guarda, chi ci frequenta deve riconoscere in noi i tratti del servizio, della gratuità e della generosità, della semplicità e dell’umiltà, del dono e dell’amore vero. Dobbiamo evitare la tentazione di sostituirci al Signore, con l’aspirazione di volere stare al centro, essere considerati importanti, necessari, riveriti, sentendoci non servi dei servi, ma padroni.
In rapporto alla seconda domanda, considerate che, mandandovi nella sua vigna, il Signore vi chiede di dedicarvi come diaconi al servizio della carità e di prendervi cura in modo particolare dei poveri. Papa Francesco nel suo viaggio apostolico a Marsiglia per gli Incontri del Mediterraneo ha detto che «sulle rive del Mare di Galilea Gesù cominciò col dare speranza ai poveri, proclamandoli beati: ne ascoltò i bisogni, ne sanò le ferite, proclamò anzitutto a loro il buon annuncio del Regno. Da lì occorre ripartire, dal grido spesso silenzioso degli ultimi, non dai primi della classe che, pur stando bene, alzano la voce. (…) Il cambio di passo delle nostre comunità sta nel trattarli come fratelli di cui conoscere le storie, non come problemi fastidiosi, cacciandoli via, mandandoli a casa; sta nell’accoglierli, non nel nasconderli; nell’integrarli, non nello sgomberarli; nel dar loro dignità» (Discorso del Santo Padre, “Palais du Pharo”, Sabato, 23 settembre 2023).
Carissimi Giuseppe, Michele, Michele, Leonardo, Francesco e Salvatore, vivete il dono del diaconato avendo come modello questo insegnamento di Gesù. Vi chiedo di impegnarvi nelle parrocchie in cui vi trovate per il ministero pastorale! Vi chiedo di impegnarvi particolarmente a servizio dei poveri, e non dimenticate l’esperienza formativa, vissuta ad agosto, che ci ha permesso di prendere contatto con persone malate allo stadio terminale e con i loro familiari, con giovani autistici, con detenuti che stanno scontando la pena in percorsi alternativi di recupero, con coloro che stanno affrontando varie situazioni di dipendenza, con gli anziani ospiti della RSA Oasi Nazareth di Corato.
Spendetevi soprattutto a favore della vita fragile. Tenete conto di quanto ho detto nell’ultima Assemblea diocesana, a giugno scorso, a proposito della caritas della Chiesa diocesana e delle comunità parrocchiali: «per il prossimo anno chiedo che tutte le parrocchie si impegnino nella crescita della dimensione caritas e provvedano anche ad avere una organizzazione che permetta di offrire ascolto, aiuto, impegno concreto verso coloro che si trovano a vivere le tante forme di povertà. Una parrocchia senza caritas non è più parrocchia. È come se si volesse essere parrocchia senza liturgia, cioè senza messa, senza sacramenti. Oppure essere parrocchia senza catechesi. Catechesi, liturgia e carità sono come le tre gambe di un tavolo, se ne manca una il tavolo cade, non può stare in piedi. Per questo invito le comunità parrocchiali a rinvigorire l’impegno e, qualora non vi fosse ancora la caritas parrocchiale, ad istituirla con l’aiuto della caritas diocesana».
Permettetemi un ultimo riferimento alle parole di Papa Francesco che, sempre a Marsiglia, ha affermato: «il vero male sociale non è tanto la crescita dei problemi, ma la decrescita della cura (…) È bello dunque che i cristiani non siano secondi a nessuno nella carità; e che il Vangelo della carità sia la magna charta della pastorale. Non siamo chiamati a rimpiangere i tempi passati o a ridefinire una rilevanza ecclesiale, siamo chiamati alla testimonianza: non a ricamare il Vangelo di parole, ma a dargli carne; non a misurare la visibilità, ma a spenderci nella gratuità».
Sentitevi interpellati anche da questo insegnamento del Santo Padre, soprattutto voi, che siete giovani. Oggi, pensando all’urgenza di annunciare Gesù in questo cambio d’epoca, alle situazioni problematiche e dolorose che toccano la vita di tante persone – cambiamento climatico, guerre, migrazioni, povertà, cultura dello scarto della vita fragile – non ci aspettiamo da voi che rimpiangiate i tempi passati o che ricerchiate strategie per essere rilevanti come chiesa. Ci aspettiamo che spendiate tempo e doniate vita per testimoniare il vangelo della carità. Ci aspettiamo, da parte vostra, per la nostra Chiesa diocesana, una testimonianza e un contributo di entusiasmo, di generosità, di impegno vero secondo l’esempio di Gesù.
Lo chiediamo per voi al Signore e vi accompagniamo con la nostra preghiera».
Omelia Arcivescovo ordinazioni diaconali
foto Luigi Di Corato