Autore /Ambito | ignoto argentiere meridionale |
Datazione | prima metà XIII secolo; rifacimenti inizi XVIII secolo (1724) |
Materia/Tecnica | rame e argento con dorature e parti a fusione, filigranato, sbalzato, cesellato e inciso con inserzione di castoni con gemme |
Misure | stauroteca 33×20,5 cm; piede 16,5×9 cm |
Iscrizioni | sul basamento: “A. D. 1724” e “M.o S.a LUCIA BARLE TTA” |
Provenienza | monastero di santa Lucia |
Descrizione | Il manufatto mostra una struttura originaria a croce patriarcale a due bracci; l’armatura lignea è rivestita da lamine metalliche decorate con filigrane e inserzioni di pietre preziose. Il recto contiene un frammento del Sacro Legno, inserito in un ricettacolo cruciforme, che ripropone il disegno della doppia traversa. Sia il ricettacolo, che l’intero perimetro della stauroteca, sono sottolineati da una bordura di minute perline. Sulla lamina che fa da spessore della croce, composta da diversi spezzoni metallici, è disegnato un tralcio con foglie che si sviluppa verticalmente. Il pungolo è in rame dorato; attualmente è inserito in un basamento, definendo quindi una croce d’altare, ma si può supporre che la stauroteca potesse essere utilizzata anche come croce astile. Il basamento, con incisa la data del 1724 e la provenienza dal monastero di Santa Lucia, ci fornisce l’indicazione del periodo in cui il reliquiario è stato manomesso, ovverossia “abbellito”. Gli interventi barocchi hanno trasformato la stauroteca, destinata a custodire il solo Sacro Legno, in un reliquiario ed hanno compromesso la lettura dell’opera originaria. L’inserimento di tali nuovi elementi ornamentali sottolinea nel contempo la notevole devozione di cui è stato oggetto il manufatto. Sono stati aggiunti nel XVIII secolo cinque gigli in argento pieno, saldati nelle terminazioni della croce, e la teca ovale al centro della stauroteca, contornata da volute e da fogliami; all’interno sono contenute numerose reliquie con cartiglio. Al di sotto della teca, ai lati della lamina originaria, si notano tracce di ceralacca rossa, palese segno di sigilli apposti da una verifica episcopale. Ricettacoli ovali, contenenti reliquie, sono posti sia sul montante, che sulla traversa maggiore. Dal cartiglio che individua le reliquie si possono ricavare importanti informazioni, in particolare è interessante la scritta: “di san Pio V papa” che costituisce un altro elemento a sostegno della datazione dell’intervento di “abbellimento” sulla stauroteca, poiché il papa sunnominato è stato canonizzato nel 1712, termine post quem per l’apposizione della reliquia stessa. L’applicazione del reliquiario barocco ha celato in parte la struttura del manufatto originario senza, però, cancellare gli ornati medievali arricchiti da una varietà di gemme che decorano gli spazi interni. Alle estremità sono poste delle gemme trattenute da piccole graffe e inserite in finissimi quadrilobi filigranati; ad essi si affiancano quattro castoni rotondi, qualcuno privo di gemma, incorniciati da piccole lamine dal profilo ondulato. Altre filigrane, insieme a castoni gemmati e a piccole sfere, sono saldate sull’intera croce. Nella parte bassa del montante è posto un grosso castone ovale con gemma a cabochon. Il verso, anch’esso compromesso dall’inserzione del reliquiario, è interamente lavorato a sbalzo con un tratto fine nel disegno dei dettagli naturalistici. Questo lato risulta molto interessante dal punto di vista iconografico; intorno all’incrocio della traversa maggiore, nonostante l’apposizione della placca d’argento, sono facilmente riconoscibili i simboli dei quattro evangelisti: sulla stessa traversa il leone di Marco e il toro di Luca, con grandi ali spiegate, nimbati e rivolti verso il centro; sul montante, in alto, l’aquila, simbolo dell’evangelista Giovanni; in basso, sotto l’inserzione barocca, l’angelo, simbolo dell’evangelista Matteo. Alla sommità della croce è raffigurata la Mano di Dio, mentre sulla traversa superiore sono disegnate due mezze figure, una maschile e l’altra femminile, accompagnate da attributi che le caratterizzano, rispettivamente, come il sole e la luna, simboli cosmici che alludono al mistero di salvezza della Crocifissione. Al di sotto di un arco schematicamente sottolineato da un cordone è posta la figura di un personaggio, eretto, atteggiato in posa quasi frontale, con le mani tese verso l’alto, vestito con tunica e mantello e con un copricapo a forma di turbante. L’iconografia è quella di un profeta dell’Antico Testamento, secondo come è usuale venga raffigurato in numerose opere medioevali; in particolare, per l’affinità delle vesti, è stringente il confronto con i profeti scolpiti nella lunetta del portale della Vergine del battistero di Parma, opera di Benedetto Antelami (XIII secolo). Più difficile l’interpretazione di quale profeta si tratti; propenderei per Daniele sia per l’assenza della barba, indice di un’età giovanile, che per la raffigurazione sottostante, che sembrerebbe mostrare ai suoi piedi la testa di un leone entro un antro, a ricordo del racconto biblico del profeta chiuso in una fossa con i leoni. La datazione di questa stauroteca di Barletta potrebbe tranquillamente stabilirsi alla prima metà del XIII secolo, anche se non se ne può avere la certezza, mancando una qualsiasi documentazione a riguardo. Tra le stauroteche medievali presenti in Puglia si mostra come la più ricca di elementi ornamentali. L’autore rende con una cura particolare gli elementi che caratterizzano i personaggi, disegnandoli con un vigore costruttivo, tipico del primo periodo del gotico. Allontanandosi dagli schemi bizantini rende la tridimensionalità delle figure mediante la resa dei movimenti e gli effetti pittorici dati dall’alternanza tra argento e argento dorato. Tali caratteristiche stilistiche risultano affini – in particolare per la figura dell’angelo di san Matteo con le ali aperte all’insù – alla ben conosciuta croce della cattedrale di Veroli, proveniente dall’abbazia cistercense di Casamari e datata al XIII secolo. Confronti più vicini per tempo e per luogo possono istituirsi, per quel che riguarda il recto, con la stauroteca conservata nella cattedrale di Santa Maria Maggiore in Barletta (v. scheda dedicata); per il verso, con quella del monastero di San Ruggiero, sempre in Barletta. Questi paragoni fanno ipotizzare che il manufatto possa essere stato eseguito da un qualificato aurifabbro autoctono o itinerante, anche considerando che fra il XII e il XIV secolo in Barletta sono attestati diversi orefici dimoranti in città e geograficamente diversificati riguardo all’origine. Luigi Nunzio Dibenedetto |