Scrigno

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Autore /Ambito manifattura islamica
Datazione XII-XIII secolo
Materia/Tecnica bronzo a fusione e lavorato a traforo; aggiunte in ferro
Misure 10×41 cm; in sospensione 120 cm
Iscrizioni ‹‹Gloria, felicità perfetta, generosità piena, alta gioia perpetua, benessere completo [al possessore]››
Provenienza cattedrale di santa Maria Maggiore
Descrizione Splendido esempio di manifattura islamica, lo scrigno del tesoro della cattedrale di Barletta è un cofanetto in bronzo, più precisamente in oricalco, una particolare lega di bronzo e stagno con tracce di zinco, che conferisce all’oggetto la caratteristica colorazione dorata. Di forma circolare, è sollevato da quattro piedini globulari uniti allo scrigno attraverso borchie traforate. Sul coperchio altre sei borchie sovrapposte, sempre lavorate a traforo, di cui due fungono da ganci di chiusura, due nascondono le cerniere che lo uniscono alla base. Gli elementi decorativi più interessanti si concentrano sul coperchio dove si trova al centro un piccolo gancio inserito in una corona baccellata, cui seguono due fasce concentriche che contengono un’iscrizione con due canoni calligrafici differenti: in caratteri cufici nella parte più interna, in caratteri naskhi in quella più esterna. Il primo stile, originario della città irachena di Kufa, presenta un andamento angolare e severo, mentre il secondo, più antico, appare morbido e arrotondato. L’iscrizione è una frase augurale: ‹‹Gloria, felicità perfetta, generosità piena, alta gioia perpetua, benessere completo [al possessore]›› che ci fa supporre un’originaria destinazione privata dell’oggetto. Questa tipologia di iscrizione si ritrova anche in molti cofanetti in avorio realizzati da maestranze arabe attivi nella Sicilia normanna del XII secolo. L’uso della scrittura – che concentra nella parola la massima espressione del divino – è una caratteristica tipica della tradizione araba ed è uno dei filoni decorativi principali dell’arte islamica, insieme all’ornato geometrico e all’arabesco. Oggetto inconsueto nella forma, raffinato e lineare nella decorazione, esso ricorda un simile scrigno conservato nel duomo campano di Caiazzo, opera di manifattura egiziana del XII secolo, ambito che alcuni ipotizzano anche per il nostro scrigno. Anche per quanto riguarda la datazione si ritiene plausibile collocare il manufatto nella seconda metà del XII secolo, confutando dunque ipotesi passate che addirittura facevano oscillare la sua datazione tra l’VIII e il XIII secolo. Come molti altri pezzi di ambito arabo, lo scrigno entrò in seguito a far parte dei beni ecclesiastici e forse utilizzato come teca eucaristica o, come alcuni ritengono, come contenitore d’incenso, per la presenza sia ai lati delle staffe sia sul coperchio di piccoli anelli che forse potevano fungere da ganci per catenelle. La sua provenienza è dubbia: secondo una tradizione esso proverrebbe da Canne e giunto a Barletta in occasione del trasferimento nella città delle spoglie di san Ruggiero nel 1276, insieme ad alcuni arredi liturgici. Un’altra tradizione più condivisa fa provenire il cofanetto, insieme ad altri oggetti presenti nel museo della cattedrale, dalla vicina Lucera, la celebre Luceria Saracenorum dove Federico II tra il 1223 e il 1233 confinò gli ultimi Arabi di Sicilia riducendoli all’obbedienza. Qui si diffusero ben presto alcune botteghe artigiane che si occupavano della lavorazione dei metalli preziosi. Nell’agosto del 1300 la presenza araba a Lucera scompare drammaticamente per volontà degli Angioini che ordinarono una spedizione punitiva guidata dal barlettano Giovanni Pipino. Questo personaggio, che tra l’altro fu uno dei promotori dell’ampliamento della cattedrale sotto l’egida angioina, dopo la distruzione e il saccheggio della città, probabilmente portò alcuni di questi pezzi islamici a Barletta come bottino di guerra, facendone dono alla cattedrale.