Autore /Ambito | A. argentiere messinese; B. argentiere meridionale |
Datazione | A. seconda metà XVIII secolo; B. fine XVIII – inizi XIX secolo |
Materia/Tecnica | argento filigranato; cristallo |
Misure | A. cm. 7.5×8.5; B. cm. 5×6 |
Provenienza | cattedrale di santa Maria Maggiore |
Descrizione | Questi medaglioni reliquiario fanno parte di una ricca produzione eseguita dalle botteghe napoletane e siciliane nei secoli XVII e XVIII per ottemperare alle esigenze di una committenza devota, sia laica che ecclesiastica, che desiderava sottolineare l’importanza dell’oggetto di culto con la preziosità del suo contenitore. Vengono a sostituire gli imponenti reliquiari barocchi e consentono una diffusione maggiore del culto dei santi cui si riferiscono le reliquie. Infatti i nostri medaglioni possono aver costituito la parte terminale di un rosario, ma anche il decoro di una statua (per esempio, già nello stesso museo della cattedrale di Barletta, sono usati medaglioni per racchiudere le reliquie sia sul busto argenteo di San Cataldo che sulla statua lignea di Sant’Orsola – v. schede dedicate). La mancanza del punzone si giustifica in questo tipo di manufatti per la difficoltà di apporlo ed è tipica degli argenti filigranati del ‘700; la restituzione ad una scuola piuttosto che ad un’altra va fatta esclusivamente in base alle caratteristiche stilistiche.
Il medaglione A. presenta una decorazione a volute acantiformi riccamente lavorate a filigrana, raccordate da una serie di sfere d’argento levigato; questa caratteristica formale avvicina l’oggetto alla produzione della città di Messina (vedi ad esempio il reliquiario a medaglione della chiesa di San Nicola a Palmi). La cornice di argento filigranato che si svolge intorno all’ovale del medaglione B. presenta una decorazione a fili ritorti delicata e ariosa, che disegna ampi girali, arricchiti nell’incrocio da piccole infiorescenze. Il manufatto non presenta riferimenti stilistici forti né con la scuola siciliana, né con quella napoletana, ma si inserisce all’interno della produzione tardobarocca meridionale che nella seconda metà del XVIII secolo unisce le caratteristiche principali e la perizia tecnica di entrambe le scuole. I medaglioni sono tutti e due privi della reliquia originaria, ma la teca del medaglione B. porta ancora attaccato sul retro il sigillo in ceralacca rossa del vescovo responsabile dell’ispezione: si tratta con ogni probabilità di Mons. Bartolomeo De Cesare, vescovo di Potenza dal 26 giugno 1805 al 30 settembre 1819 il cui stemma è riprodotto sulla ceralacca: “d’azzurro al pino sinistrato da un leone rampante sul tronco, il tutto d’oro”. Mons. De Cesare va ricordato per aver riaperto il Seminario, ma anche per essere stato il primo vescovo delle diocesi unite nel 1818 di Marsico e Potenza, nell’ambito del riordino delle diocesi del Sud, in applicazione del Concordato tra Santa Sede e Regno di Napoli. Sotto il suo episcopato la città di Potenza fu elevata a capoluogo della Basilicata. Di lui possediamo anche le: “Omelie sacre sulla cognizione di Dio uno, e trino”, dirette specialmente al clero, ed al popolo della sua diocesi e date alla luce nella stamperia di Potenza nel 1809. Il suo nome è legato soprattutto all’inizio del culto di Santa Filomena che ebbe origine il 25 maggio 1802 con la ricognizione dei resti mortali nel cimitero di Priscilla. In conseguenza di questo evento, poco dopo la sua elezione a vescovo di Potenza, Mons. De Cesare accompagnò a Roma e sostenne nella sua richiesta il sacerdote nolano Francesco De Lucia; questi chiese in dono il corpo di Santa Filomena a Mons. Ponzetti, custode delle reliquie; avendo ottenuto il consenso, le reliquie furono trasportate prima a Napoli e poi a Mugnano del Cardinale nella chiesa dedicata alla Madonna delle Grazie. Un’altra notizia interessante per noi è che a distanza di quasi un secolo, dal 1900 al 1913, resse la diocesi di Potenza il nostro concittadino Mons. Ignazio Monterisi, che, come scrive don Gerardo Messina in “La Diocesi di Potenza – Cenni storici”, fu: “vescovo di forte tempra e lungimirante, che promosse un rinnovamento degli studi per il clero, chiuse l’ormai asfittico seminario locale ed inviò i suoi chierici a studiare nelle facoltà teologiche romane, orientò l’impegno dei laici cattolici nella politica, sostenne la stampa cattolica ed operò per la purificazione della religiosità popolare e la riforma del clero”. È del tutto lecito ipotizzare che possa essere stato Mons. Ignazio Monterisi a donare alla Cattedrale di Barletta il medaglione col sigillo del suo predecessore, Mons. De Cesare, contenente, molto probabilmente, una reliquia di Santa Filomena. Luigi Nunzio Dibenedetto |