Autore /Ambito | manifattura islamica |
Datazione | XII-XIII secolo |
Materia/Tecnica | bronzo a fusione e lavorato a traforo; aggiunte in ferro |
Misure | 10×41 cm; in sospensione 120 cm |
Provenienza | cattedrale di santa Maria Maggiore |
Descrizione | La lampada pensile, collegata ad un gancio di sospensione grazie a tre catenelle a maglie intervallate da croci greche, presenta una forma estremamente semplice ma elegante nella fattura. Interessante e di sicuro ambito islamico è la decorazione nella parte concava della lucerna (dove presumibilmente si poneva la lampada in vetro) che presenta un motivo pseudo-epigrafico inciso a traforo, individuato con una serie di grafemi alif lâm, disposti a coppie. Sulla tesa ampia e sottile vi sono tre ganci uncinati che trattengono le catenelle di sospensione; in epoca imprecisata c’è stato un goffo tentativo di risarcire una parte mancante della tesa con un’aggiunta in ferro. L’utilizzo di motivi pseudo epigrafici è ampiamente diffuso in ambito islamico, come si ritrova ad esempio sul coperchio di uno scrigno d’argento – che presenta due pseudo-iscrizioni cufiche niellate sui lati minori – conservato nel tesoro di san Marco a Venezia e datato XII secolo. L’uso della scrittura in funzione decorativa è una caratteristica peculiare dell’arte musulmana soprattutto per la valenza evocativa che essa riveste: ogni parola, ogni lettera è emanazione di Dio e come tale, oltre alla sua valenza lessicale, la scrittura riesce a comunicare una suggestione simbolica molto forte. La lucerna in oggetto è associata alla tipologia della gabatha, una lampada con coppa aperta, di cui alcuni esemplari sono conservati nel tesoro di san Marco a Venezia. La lampada veniva utilizzata per illuminare in maniera continua determinati spazi liturgici, come per esempio la zona dell’altare. Questa particolare lucerna è stata negli anni oggetto di diverse interpretazioni rivelatesi spesso bizzarre e prive di fondamento: identificata originariamente dal Ricci come cappello facente parte di una improbabile tomba cardinalizia risalente al XVI secolo, fu in seguito associata ai piombi del rosone della Cattedrale di Bitetto e posta in relazione a Lillus de Barolo, datandola al XIV secolo. Solo con il Toesca si riconosce nell’oggetto una lampada ma con decorazioni di ambito bizantino e collocabile cronologicamente nel XII secolo. Sulla scia di questa interpretazione il Negri – Arnoldi associa il nostro oggetto al modello a polycandeion, confrontandolo in maniera un pò generica a simili esemplari conservati ad Aquisgrana e a Coburgo. Gli studi successivi hanno evidenziato in maniera decisa, invece, una manifattura islamica, forse realizzata da maestranze operanti in Italia meridionale e databile tra il XII e il XIII secolo. Come lo scrigno conservato in questo museo, anche per la gabata sono state avanzate negli anni diverse ipotesi circa la sua provenienza: mentre appare meno probabile l’arrivo a Barletta di questi oggetti da Canne insieme alle spoglie di san Ruggiero nel 1276, più accreditata è la tradizione secondo cui essi proverrebbero da Lucera. Dopo la distruzione nell’agosto del 1300 della “città dei Saraceni” per ordine angioino, alcuni manufatti islamici sarebbero giunti a Barletta come bottino di guerra e donati alla cattedrale per volontà di Giovanni Pipino, comandante della spedizione e successivamente uno dei principali finanziatori dell’ampliamento gotico della chiesa. |