Autore /Ambito | ignoto artigiano locale |
Datazione | metà del XVII secolo |
Materia/Tecnica | argento a fusione |
Misure | A. 14 cm; B. 7.5 cm |
Provenienza | cattedrale di santa Maria Maggiore |
Descrizione | I due oggetti sono stati pubblicati per la prima volta nel 1912 in una ricerca svolta da S. Santeramo dal titolo: “La peste del 1656-57 a Barletta”, con la didascalia: “lunetta e cucchiaino d’argento per amministrare il viatico agli appestati”. Sempre da S. Santeramo sono elencati, con simile dicitura, nel paragrafo dedicato al “piccolo tesoro della cattedrale”, all’interno del volume: “Il simbolismo della cattedrale di Barletta”, edito nel 1917. Sulla base di queste indicazioni diamo per fatto certo sia la funzione dei predetti oggetti per la somministrazione dell’Eucarestia, sia il loro legame con i numerosi eventi di peste accaduti nel territorio a partire dalla fine del secolo XIV; più difficile è invece precisare il periodo di realizzazione, ricavandolo da un’analisi interna dei manufatti stessi. In argento, eseguiti a fusione, la lunetta si presenta con la parte inferiore lavorata a vite (evidentemente per essere inserita in un manico di legno); la parte di raccordo è decorata con due anelli a tronco di cono seguiti da un cilindro che si conclude in un motivo a tre anelli, di cui quello centrale più grande e bombato; la parte terminale vede inserita la lunetta atta a contenere l’Ostia per la Comunione su una piccola asta a tronco di piramide. Il cucchiaino, tondeggiante (si notano incisioni nella parte convessa), presenta due piccole punte dal lato dov’è l’attaccatura del manico, leggermente curvato e arrotondato all’impugnatura. Dei due oggetti, solo la lunetta presenta una decorazione ad anelli nel piccolo manico, simile per fattura a quella del manico della pace conservata nel museo medesimo (v. scheda dedicata). Sia questa similarità con un manufatto databile alla seconda metà del secolo XVII, sia le osservazioni di carattere esterno riguardo all’evento di peste del 1656-57, fanno propendere per una datazione allo stesso XVII secolo.
Questo evento catastrofico per la città di Barletta si fa iniziare, secondo la ricostruzione documentaria svolta da S. Santeramo, nel giugno del 1656, come causato dalla presenza nel porto della nave mercantile “Sant’Andrea” proveniente da Napoli, dove già il morbo infestava. Una lastra tombale, che si conserva nella chiesa di sant’Andrea, recita: “Ex illis qui anno MDCLVI pestilentia decesserunt hac in parte et sub istis lapidibus cadavera multa iacent” (in questo luogo e sotto queste pietre giacciono molti cadaveri di quelli che morirono a causa della peste nell’anno 1656); a questa fa eco un documento del 5 novembre 1656: “Et perché la città hoggi si trova costituita in pessimo stato, Nostro Signore Iddio la sta flagellando con la peste, e sino hoggi, è estinta la mità”. La dichiarazione che in città il morbo è cessato si ha esattamente un anno dopo; infatti in un documento del 22 giugno 1657 il notaio Spallucci dichiara: “Ad presens vero ex quo presens civitas reperitur libera a dicto morbo” (in verità, al momento presente, la detta città è stata trovata liberata dal morbo in questione). In un recente convegno svoltosi a Barletta il 15 luglio 2011, «La peste del 1656 a Barletta» sono stati resi noti i risultati di un’indagine scientifica svolta su resti umani ritrovati nel sottosuolo della chiesa di Sant’Andrea; si è potuto accertare che il batterio responsabile di quella epidemia a quasi 400 anni di distanza fu la «Yersinia pestis» (agente per la peste polmonare e bubbonica). Promotori ed esecutori della scoperta sono stati i ricercatori del Centro per l’Antrace dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Puglia e della Basilicata, coordinati dal dott. Antonio Fasanella. L’importanza scientifica della ricerca sta nel fatto che in passato ogni forma epidemica veniva chiamata peste e avere identificato esattamente quale batterio abbia causato l’epidemia del 1656-57 è di basilare importanza non solo per la storia della medicina, ma per la ricerca storica in senso lato. Luigi Nunzio Dibenedetto |