Busto di san Cataldo

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Autore /Ambito Vincenzo Caruso
Datazione 1856
Materia/Tecnica argento a fusione, con dorature, sbalzato, cesellato e inciso
Misure 81 x 52 x h. 132 cm
Marchi e stemmi V. Caruso e bollo consolare con croce N/8 su vari punti del basamento e sul collo del santo
Iscrizioni DIVI CATALDI / IN HONOREM BARULENSIUM NAUTARUM / SOLIDITATIS PIIS EXPENSIS / A. D. MDCCCLVI
Provenienza chiesa di san Cataldo
Descrizione Il busto di san Cataldo, di tre quarti, poggia su di una base quadrangolare, un ottagono con quattro lati lunghi e quattro, angolari, piccoli; sui piedi, uniti da due delicate volute lungo i lati veri e propri, corre una fascia bombata dorata, sulla quale si impostano gli squadri del basamento, leggermente convessi. Sui lati angolari è sbalzato un quadripetalo fogliato, dorato, che reca al centro un tondo con un piccolo anemone; a fianco, lungo tutta l’altezza della base, due applicazioni dorate a forma di due lunghe foglie d’acanto, contrapposte, unite da una piccola sfera. Sul lato frontale del basamento e su quelli laterali è disegnato un ricco fregio vegetale con piccoli fiori che stringe l’identico quadripetalo disegnato negli angoli. Sul lato posteriore, contornata da un motivo simile a quello degli altri lati, corre l’iscrizione: “DIVI CATALDI / IN HONOREM BARULENSIUM NAUTARUM / SOLIDITATIS PIIS EXPENSIS / A. D. MDCCCLVI”. Come recita l’iscrizione (in onore di San Cataldo, a doverose spese della confraternita dei marinai barlettani, nell’anno del Signore 1856), l’opera fu donata dai marinai nel 1856, periodo particolarmente florido per la congrega che, oltre a curare il restauro dell’edificio dedicato al santo omonimo – completato nel 1853 secondo il testo dell’iscrizione in facciata -, dotò la chiesa della bellissima statua, di un corredo in argento e in bronzo dorato e di un parato ricamato, spendendo in totale la somma di diecimila ducati. Il busto raffigura san Cataldo benedicente; nella sinistra regge il libro dei vangeli – la cui coperta è disegnata a motivi vegetali – ed il pastorale – con un riccio a girale fogliaceo reso a tutto tondo e il bastone decorato da una fascetta continua, dorata, alternata a un motivo a sbalzo di piccoli fiori quadripetali circondati da quattro fogliette lanceolate. Il santo veste l’amitto intorno al collo e una tunica cinta da un cordone dorato; la stola, anch’essa dorata, è ornata da un motivo vegetale a palmette entro cuori e girali. Tutta la figura è avvolta da un ampio piviale riccamente decorato, chiuso da un fermaglio ovoidale dorato con un giro esterno di palmette ed uno interno di castoni con pietre verdi e rosse alternate, che racchiude una gemma rossa adagiata su di una larga foglia. Sullo stolone sono disegnate foglie d’acanto e girali arricchiti da piccoli fiori quadrilobi; il resto del manto è decorato da rami di peonie con un grande fiore al centro e due boccioli laterali tra le foglie. Sul retro della statua il cappuccio del piviale, inquadrato da una pesante frangia dorata, presenta lo stesso decoro che si trova sul manto, al quale è unito da una fascia dorata recante tre grossi bottoni. La reliquia è contenuta in un medaglione dorato posto al centro del petto arricchito da castoni con pietre rosse e verdi circondate da piccole volute. La ieraticità del volto è sottolineata dalla lunga barba e dagli occhi rivolti verso l’alto; il capo è coronato da una mitria, su cui è sbalzato un fitto motivo vegetale, ornata da castoni con pietre rosse e azzurre; al centro della zona frontale della mitria castoni con pietre viola e ocra disegnano una croce. Sembrano aggiunti in un momento successivo: 1. la croce pettorale in argento filigranato e grossi zaffiri, che pende libera sorretta da una catenella appesa al collo; 2. i tre piccoli pesci a tutto tondo, resi in maniera naturalistica, pendenti a metà del pastorale insieme ad alcuni anelli votivi. I punzoni sono numerosi e si trovano soprattutto sul basamento (uno è stato individuato sul collo del santo). Il marchio dell’argento è costituito dalla Santa Croce affiancata dalla lettera N a carattere romano posta sopra il numero 8 in cifra araba, simbolo del titolo di millesimi 833,33 (valutazione della qualità dell’argento); si tratta del marchio di garanzia del titolo riservato agli oggetti sacri, usato dal marzo 1839 al 31 maggio 1872 dal controloro dell’Officina di Garanzia di Napoli. Accanto al marchio dell’argento è posto quello dell’argentiere: Vincenzo Caruso, attivo a Napoli durante la prima metà del XIX secolo ed enumerato, già nel 1831, tra gli “artisti distinti e di maggiore rinomanza”. Nel 1835 realizzò la statua di San Luigi Gonzaga per la cappella del tesoro di san Gennaro a Napoli insieme con gli argentieri Francesco Rossi e Luca Baccaro (autore della monumentale base processionale per il busto di San Bruno della certosa calabrese); nel 1845 eseguì la statua di San Pasquale Baylon, sempre per la cappella del tesoro di San Gennaro. Ebbe dal clero di Serra San Bruno diverse commesse importanti. L’arte di V. Caruso si inserisce nella tradizionale produzione di busti argentei di Napoli, diffusi per tutto il regno, dal XVI secolo fino a tutto il XIX secolo, riprendendo i moduli delle realizzazioni settecentesche (in particolare per il nostro San Cataldo si veda quale modello stringente il busto di San Donato di Umbriatico – Crotone), databile alla prima metà del XVIII secolo, che reca, tra gli altri, il marchio di Diodato Avitabile legato agli “Splendori” della Cappella del Tesoro di san Gennaro a Napoli). Tenendo ferma l’impostazione della figura, consolidata dalla tradizione settecentesca, Caruso interpreta in maniera nuova la lavorazione dell’argento, con uno stile ecclettico che fa largo uso di effetti pittorici, dovuti all’alternanza di argento e argento dorato, combinando insieme, in maniera magistrale, diverse tecniche di lavorazione del metallo e arricchendolo di castoni con pietre colorate, che accentuano l’effetto luministico dell’insieme.                Luigi Nunzio Dibenedetto