Urna Eucaristica processionale del Venerdì Santo: A. base; B. Cassa

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Autore /Ambito A. Antonio Guariniello; B. ignoto argentiere meridionale
Datazione A. 1750; B. 1799
Materia/Tecnica A. anima in legno, argento sbalzato; B. anima in legno, argento con dorature e con parti a fusione, sbalzato e cesellato
Misure A.109 x 70 x h. 36 cm; B. 80 x 45 x h. 60 cm
Marchi e stemmi A. NAP coronato/1750, (A.G./C.); B. una C, due lettere incrociate (forse G e A) ed un terzo completamente illeggibile
Provenienza Arciconfraternita del Santissimo Sacramento di Santa Maria Maggiore in San Pietro
Descrizione Le celebrazioni del Triduo della Passione, Morte e Risurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo costituiscono uno dei momenti culminanti della Liturgia della Chiesa, di cui si è alimentata la pietà popolare, segnando profondamente nel corso dei secoli la vita religiosa e, in certo senso, anche la stessa vita civile delle popolazioni. Legato a questo evento si è andato formando tutto un complesso di usanze, di riti, di celebrazioni che, ispirati per un verso alla liturgia, risultano il compendio di tutto un patrimonio culturale ricchissimo, attraverso il quale si sono espressi, insieme con la religiosità, la fantasia e il senso artistico di un popolo. Indubbiamente nella tradizione barlettana l’evento che più segna questo momento dell’anno è la particolarissima Processione Eucaristica che si svolge nelle prime ore pomeridiane del Venerdì Santo, legata ad un plurisecolare voto della città. L’esistenza storica di questo evento è attestata già prima del 1504. In un documento del 20 dicembre 1504 si rinnovano le convenzioni con l’arcivescovo di Trani, che l’Università di Barletta intende confermare per il futuro. Nello stesso documento si fa menzione di una processione avvenuta il Giovedì Santo, secondo l’uso (nel mese di marzo di quell’anno). Il documento più importante riguarda il voto che la Città di Barletta pronunziò in occasione della cessazione della peste del 1656. Recita il testo del documento del 29 luglio 1656: “Ricordevole questa città di essere stata altre volte liberata da simili mali di pestilenza dalla Santissima Eucarestia, onde ogni anno nella notte del Venerdì Santo ne celebra l’anniversaria e votiva memoria e per intercessione della gloriosissima Vergine Maria nostra Signora, e suoi Santi Padroni e Tutelari, ha determinato con universale voto fare ricorso di nuovo a questi Santi dai quali altre volte le sono sgorgate le grazie. Onde noi Sindaco, Eletti e Deputati . . . facciamo voto e giuriamo (intendendo di obbligare a tal voto e giuramento le nostre vite, e di tutti i nostri cittadini presenti e futuri) di far fabbricare un trofeo delle divine misericordie, acciò sia questa città libera dal contagio: una Cassa o urna d’argento di valore di scudi duecento, nella quale si debba portare in processione per la città il Santissimo Sacramento il Venerdì Santo a sera”. Non ci è data notizia se l’urna menzionata nel voto del 1656 sia stata eseguita nello stesso periodo. Secondo la ricostruzione fatta dallo storico barlettano Salvatore Santeramo, la prima urna di cui si ha notizia fu donata dalla nobile Antonia Marulli prima del 1719. Nel Bonorum di quell’anno, a firma del nobile A. Affaitati, dell’ Arciconfraternita del Santissimo Sacramento di Santa Maria Maggiore in San Pietro, per la prima volta viene nominata e descritta l’urna in questione, “di velluto nero guarnita di argento massiccio”. Sempre negli atti della stessa Arciconfraternita del Santissimo viene nominata una seconda urna donata dal confratello D. Ignazio Querald, tutta in argento massiccio. Se ne parla in una nota del Bonorum del 1755 e poi, per esteso, in quello del 1795. Nei fatti avvenuti in seguito al passaggio delle truppe francesi fra marzo e aprile del 1799 fu richiesta alla municipalità barlettana da parte del generale Sarascin la somma di ventimila ducati, secondo quanto riferisce S. Santeramo. Il verbale della riunione dell’ Arciconfraternita del Santissimo del 15 settembre 1799, ci informa che il priore, Antonio De Leone, fa sapere che l’urna del Querald era stata consegnata ai francesi il 20 aprile dello stesso anno a riparazione della somma richiesta; nella stessa riunione viene deliberato di provvedere all’esecuzione di una nuova urna. Raccolti i fondi necessari, questa viene eseguita e Camillo Elefante, nella sua “Cronaca”, al giorno 11 aprile del 1800, Venerdì Santo di quell’anno, descrive la nuova urna, portata per la prima volta in processione; vengono ricordati i fatti dell’anno prima e si annota che è stata rifatta la cassa, mentre la base “rimase”.

Questa è l’urna che ancor oggi si porta in processione ed un’attenta analisi dei punzoni ha confermato la ricostruzione fatta da S. Santeramo. Sulle assi della base, più o meno al centro di ogni lato, su tutte le volute che reggono l’urna e sulle frange del bordo superiore della base (sulla quinta di ogni lato lungo e su quella centrale dei lati corti) sono leggibili i punzoni: NAP, coronato, con al di sotto la data 1750 e (posto ai fianchi di questo primo, ripetuto due volte) AGC. Il primo è il marchio territoriale e di garanzia, detto “della strada degli orefici”, usato fra il 1700 e il 1808 dai consoli dell’Arte degli orefici di Napoli con l’indicazione, in cifre arabe, dell’anno in cui è stato effettuato l’assaggio. Il secondo è il bollo del console e argentiere Antonio Guariniello; membro di una delle più prestigiose famiglie di argentieri attiva a Napoli dalla seconda metà del 1600 alla fine del 1700. Egli fu “console dell’arte” per ben otto volte fra il 1719 e il 1739. Molte le opere di pregio a lui attribuite dalle fonti storiche, in particolare l’esecuzione fra il 1739 e il 1742 di un gruppo statuario raffigurante la Trinità e di una statua dell’Immacolata su modello di Domenico Antonio Vaccaro per commissione di padre Francesco Pepe della Compagnia di Gesù per il Gesù Nuovo di Napoli. Purtroppo tutte le sculture argentee della chiesa furono fuse nel 1798 durante l’occupazione francese. È una notevole perdita che le opere migliori di questo grande argentiere siano andate distrutte per mano dei Francesi. Opera quindi di grande pregio la nostra urna, di cui si conserva traccia nella decorazione a sbalzo delle volute della base e della serie di palmette che, a mo’ di frangia, corre lungo il bordo superiore della base stessa. Lungo tutta la fascia di base è disegnato a sbalzo un delicato motivo di larghe foglie, ripetuto identico nella cornice superiore. Sulla faccia delle volute, decorate da una serie continua di linee martellate, sono raffigurati alcuni simboli della Passione; partendo dalla voluta a sinistra del fronte principale: la scala, la lancia e l’asta con la spugna imbevuta d’aceto; la lampada dell’orto degli ulivi; la borsa dei trenta denari, stretta da un ampio fiocco; la brocca e il bacile in ricordo dell’atto di Pilato che si lava le mani. Le palmette della frangia sono decorate da una serie di piccole volute che inquadrano uno scudo martellato che ha al centro un pendente con tondo e perla.

La cassa ha forma quadrangolare con otto lati, di cui quattro angolari piccoli, decorati a motivi floreali. Il coperchio di forma a capanna riprende il motivo a ottagono della cassa con i medesimi decori angolari ed è sormontato da un amorino inginocchiato sulla gamba sinistra ad argento pieno, reggente una croce dorata. Le quattro facce ampie della cassa, così come del coperchio, sono incorniciate da un motivo a piccole palmette e recano al centro, entro una corona di foglie, i simboli della Passione, sottolineati dalla doratura dello sbalzo. Partendo dalla faccia frontale dell’urna vi sono raffigurati: in basso, sulla cassa, il velo della Veronica, e, in alto, sul coperchio, la croce, la scala e la mano con la borsa dei denari, prezzo del riscatto del Signore. Proseguendo verso destra sono raffigurati: in basso, la tunica con i dadi e, in alto, la lancia, il bastone con la spugna imbevuta d’aceto, il martello e la tenaglia. Sull’altro lato lungo della cassa abbiamo: la colonna sormontata dal gallo, i flagelli e la corda; in corrispondenza, sul coperchio, la lampada dell’Orto degli ulivi. Sull’ultimo lato è posto il disegno: in basso, della brocca e del bacile e, in alto, della corona di spine e dei chiodi. Sono stati individuati i marchi posti: sul lato dove sono raffigurati la brocca e il bacile, in basso a sinistra; sul coperchio, dove sono la croce, la scala e la mano con la borsa dei denari, in basso a destra. Purtroppo sono poco leggibili; si tratta di tre punzoni: una C, due lettere incrociate (quasi certamente una G ed una A) ed un terzo completamente illeggibile. L’opera presenta una pregevole lavorazione delle lamine d’argento a sbalzo e cesello, montate su una struttura lignea; come si diceva all’inizio, l’inaugurazione risale all’11 aprile del 1800; la sua esecuzione ha tenuto presente la fattura di quella andata perduta, opera di A. Guariniello.

Luigi Nunzio Dibenedetto