Basilica paleocristiana

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Autore /Ambito committenza di San Sabino, vescovo di Canosa dal 514 al 566
Datazione primo quindicennio seconda metà VI secolo
Materia/Tecnica mattoni in laterizio e conci in pietra
Misure 28 x 16 cm (il rinvenuto)
Provenienza scavi della Cattedrale di Santa Maria Maggiore
Descrizione La basilica rinvenuta nel sottosuolo della Cattedrale di Barletta rappresenta la testimonianza più antica di un edificio di culto cristiano eretto nell’area dove insiste il nucleo storico della città. Le strutture architettoniche superstiti si riferiscono a parte dei muri di fondo ad est – con ampie tracce murarie dell’abside della navata centrale – e a gran parte della struttura muraria meridionale. Si sono conservati anche tratti dei muri di catena su cui poggiavano gli elementi verticali che scandivano la divisione in navate dell’edificio. Da queste testimonianze si è potuto ricostruire l’impianto della basilica, monoabsidata, a tre navate divise probabilmente da pilastri, visto che le due basi lapidee ritrovate in situ non mostrano fori per i perni di fissaggio delle colonne; anche se va detto che le colonne della cattedrale romanica risultano sicuramente di spolio e si può, perciò, ipotizzare che siano state riutilizzate quelle della basilica paleocristiana. Il piano dell’edificio portato alla luce misura in lunghezza m. 27,84 e risulta scandito in otto campate, con un interasse di m. 2,20 di media. Poiché non è stato individuato né il muro nord (che sorgeva oltre il muro di fondazione della basilica romanica), né il muro ovest, sulla base delle indicazioni suggerite dalla struttura scoperta, si è ricostruita un’ampiezza di circa m. 20 e si è ipotizzata una lunghezza di circa m. 38, pari a dieci campate, forti anche delle similarità con la basilica di Rufenzio ad Egnazia. Lungo il lato meridionale si individuano due soglie; quella più a ovest dava quasi certamente accesso all’esterno; quella più a est – da saggi di scavo condotti all’esterno della cattedrale romanica – introduceva in un complesso di ambienti, anch’essi con pavimentazione a mosaico. Quest’ultimo dato fa supporre una funzione liturgica (area battesimale?), o di rappresentanza (sede vescovile?), ma solo un ampliamento degli scavi verso la piazza potrà dare risposta a questo quesito. Una prima basilare indicazione per la datazione del complesso ci viene fornita dal ritrovamento di mattoni in cotto recanti il monogramma del vescovo Sabino, che resse la diocesi di Canosa all’incirca tra il 514 il 566, anno presumibile della sua morte. Questi mattoni sono stati rinvenuti sia presenti all’interno delle murature originarie, che riutilizzati nelle sostruzioni di epoca successiva che hanno distrutto il preesistente. San Sabino si recò a Costantinopoli per missioni diplomatiche almeno due volte, la prima probabilmente nel 525 e la seconda nel 535. Risulta anche, dalla documentazione sia archivistica che archeologica, la sua intensa attività quale promotore di lavori edilizi nel territorio della sua diocesi. Anche i mattoni in cotto decorati a ruota raggiata e a margherita esapetala, rinvenuti negli scavi di Barletta, sono comuni alle costruzioni canosine di certa committenza sabiniana. Per un inquadramento circa l’influenza culturale nella quale si inseriscono le modalità costruttive della basilica barlettana ed anche per una più precisa datazione del complesso ci viene incontro sia l’analisi della divisione interna degli spazi che quella degli ampi resti della pavimentazione a mosaico. Questi ultimi presentano una decorazione esclusiva a motivi geometrici e schemi di composizione utilizzati in pieno VI secolo soprattutto in area ellenica ed altoadriatica. L’impianto basilicale longitudinale, a tre navate, con abside solo nella navata centrale, appare il più comune nel panorama architettonico paleocristiano dell’area apulo-lucana; l’edificio barlettano presenta, però, due elementi che lo caratterizzano ulteriormente. Tracce di murature all’interno della navata centrale – subito a ridosso dell’abside a nord e, sempre a nord, poco più avanti, all’altezza della quarta campata – consentono di ipotizzare un tipo di recinzione presbiterale definita a “pi greco” rovesciata, tipica dell’area greco-balcanica. Nella basilica barlettana tale recinzione presbiterale è ulteriormente suddivisa in un doppio ambiente, cosa che trova riscontro nella basilica di San Giusto presso Lucera e in quella sotto la Santissima Trinità di Venosa, indice di una versione architettonica propria di quest’area geografica. Un altro elemento spaziale interessante è l’ambiente che occupa lo spazio della navata meridionale in corrispondenza dell’abside, chiuso da una muratura e accessibile attraverso una soglia marmorea che si affaccia sul resto della navata sud. Si tratta di un elemento presente nelle costruzioni della Grecia continentale ed insulare, interpretato come “pastophorion” detto “di tipo elladico”, originario dell’Asia Minore e importato in Grecia non prima del secondo o terzo decennio del VI secolo. Alla luce di queste osservazioni e tenendo presente anche il dato dei viaggi a Costantinopoli di San Sabino e la data della sua morte, il 566, è possibile stabilire che la basilica paleocristiana di Barletta è stata edificata nel primo quindicennio della seconda metà del VI secolo, su committenza di San Sabino, vescovo di Canosa, da maestranze che, inserendosi nel vivo della tradizione costruttiva dell’area apulo-lucana, hanno saputo inserire elementi originali provenienti dall’area greco-balcanica.                  Luigi Nunzio Dibenedetto