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Sala VII
Oreficerie popolari di ambito napoletano

Nel regno di Napoli il gusto popolare richiedeva ornamenti femminili particolarmente appariscenti e vivacemente colorati dai riflessi dell’oro e dalla luce delle pietre; un gusto che dal Settecento si protrasse nel Meridione per tutto il secolo successivo e fino agli inizi del Novecento. Diversamente da ciò che appariva, questo tipo di oreficeria aveva costi contenuti, basandosi sull’utilizzo di oro a bassa caratura, lavorato in lamina, che veniva modellata per dar vita a forme vuote, decorate da incisioni, da smalti opachi e da pietre naturali di pregio inferiore se non addirittura da gemme di vetro colorato. Dalle mani degli abili artigiani meridionali fiorivano tuttavia piccoli capolavori di gusto, come è possibile constatare da spille, orecchini, anelli, bracciali e collane accomunati dalla presenza del punzone di garanzia con la testina di Partenope di profilo, che identifica le oreficerie lavorate nel regno di Napoli dal 1832 fino all’Unità d’Italia.

Anche se nel gioiello popolare l’oro è a bassa caratura e le pietre non sono preziose o sono addirittura paste vitree artisticamente sfaccettate, l’orafo artigiano utilizza vari espedienti per esaltare la bellezza del manufatto, come l’alternanza di oro giallo e di oro rosso, di oro giallo e oro bianco, il contrasto cromatico dell’oro e degli smalti, il traforo con funzione chiaroscurale.

L’abbinamento di tecniche arcaiche come la granulazione di matrice etrusca, il cammeo su conchiglia, corallo o pietra dura, la miniatura su porcellana di importazione partenopea, con l’abilità individuale nell’uso della filigrana e della perlinatura, fa di ogni oggetto un prodotto unico ed irripetibile.

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