Omelia Arcivescovo ordinazioni diaconali 30 novembre 2024
Il vangelo di questa prima Domenica d’Avvento, utilizzando immagini e simboli tipici del genere letterario apocalittico, ci dice che Gesù è il senso della storia, tutto è indirizzato verso di Lui, guardando a Lui possiamo comprendere chi siamo, dove ci troviamo, verso quale meta siamo diretti.
La pienezza di questa rivelazione coinciderà con la venuta del Figlio dell’uomo, su una nube, segno della sua divinità, con grande potenza e gloria. Per tutti noi, allora, sarà gioia grande e la nostra liberazione vicina.
L’intenzione dell’evangelista Luca è quella di sostenerci nella speranza e nella fiducia che abbiamo riposto in Dio, anche nelle vicende difficili della vita, in cui facciamo fatica a comprenderne il senso, nei momenti in cui ci sentiamo soli e impotenti e ci sembra di non potercela fare. Dio ci accompagna, non ci lascia mai soli!
Il testo che abbiamo appena ascoltato vuole anche accompagnarci nell’impegno concreto della preghiera, intesa come relazione con Dio, per essere svegli, il contrario di addormentati, rinunciatari, passivi, indifferenti. Una preghiera che ci spinge alla responsabilità perché siamo parte attiva nella Chiesa e nella storia, chiamati a dare il nostro contributo di amore, di cura, di servizio generosi e gratuiti in famiglia, nel mondo della scuola e del lavoro, nei confronti dei fratelli e sorelle più giovani, più fragili, nei riguardi dell’ambiente che porta le ferite del nostro non rispetto.
In questa direzione, cari Michele e Paolo, la testimonianza che vi è chiesta come diaconi non è quella dei soli ragionamenti e dei buoni propositi sull’amore e sul servizio. È la testimonianza concreta di spendere la vostra vita per l’altro, così che Gesù stesso alla fine dei giorni, potrà dirvi: «ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi».
Ricordatevi pure che un diacono, prima ancora che nelle azioni, è diacono nello sguardo: riconosce nell’altro un fratello. Chiedetevi sempre: chi vedo nell’altro? Badate bene però, tutto questo non è ancora sufficiente: un diacono è prima di tutto diacono nel cuore. Occhi e sguardo hanno bisogno di un cuore puro. Un cuore puro vi permetterà di riconoscere nell’altro, che è un fratello, la presenza stessa di Gesù: «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».
Siamo dei servitori e se siamo chiamati al diaconato, al presbiterato o a qualsiasi altra vocazione è per rendere concreta la presenza di Gesù servo. È significativo, a questo proposito, quanto troviamo scritto nel Rito di Ordinazione dei Diaconi, nel testo proposto come esempio di omelia, lì dove si dice che «saranno di aiuto al Vescovo e al suo presbiterio nel ministero della parola, dell’altare e della carità mettendosi al servizio di tutti i fratelli. Questi compiti esigono dedizione totale (tutte le vostre energie, tutta la vostra passione, tutte le vostre capacità, tutto il vostro tempo …), perché il popolo di Dio li riconosca veri discepoli del Cristo, che non è venuto per essere servito, ma per servire». Questa è la testimonianza che ci aspettiamo da voi sull’altare della chiesa e, soprattutto in questo tempo, sull’altare delle strade del mondo dove la Chiesa è chiamata ad annunciare il Vangelo!
Da prendere sul serio, lo ricordavamo ieri sera durante la veglia di preghiera, le parole pronunciate da Papa Francesco qualche giorno fa ai religiosi e alle religiose della Famiglia Calasanziana, riferendosi al termine “carriera ecclesiastica”: «Questo termine mi fa schifo, dobbiamo mandarlo via».
Sono altre le logiche che debbono sostenere le relazioni nella Chiesa. Chi ci guarda, chi ci frequenta deve riconoscere in noi i tratti del servizio, della gratuità e della generosità, della semplicità e dell’umiltà, del dono e dell’amore vero. Dobbiamo rigettare la tentazione dello stare al centro, dell’essere considerati importanti, necessari, riveriti, credendoci non servi, ma padroni. Non siamo certo padroni e nemmeno possiamo apparire tali.
Iniziamo il Tempo liturgico dell’Avvento, destiamoci dal torpore che spesso ci accompagna, dalle comodità che abbiamo scelto o subìto e ci paralizzano, dalla valutazione negativa verso tutto e verso tutti che deprime e ci deprime con il risultato di farci retrocedere sempre più nella tristezza.
Restiamo svegli e alziamo il capo, andiamo incontro a Gesù con la consapevolezza di chi crede che Lui già cammina verso di noi.