CELEBRARE LA PASQUA E’ RENDERE LA VITA CELEBRE
In un mondo invaso e pervaso dallo Spirito del Risorto
Lettera di Don Mario Pellegrino, sacerdote diocesano fidei donum in Brasile, parroco della parrocchia del Divino Spirito Santo nella città di Mirinzal, stato del Maranhao, diocesi di Pinheiro.
Commovente il suo ricordo di un amico, anche nostro amico, lettore e, per alcuni anni, collaboratore di In Comunione. Si tratta del biscegliese Mimì Capurso, deceduto il 14 febbraio, dopo un lungo periodo di malattia
Ciao, carissimi amici e amiche,
come una buona tradizione (almeno spero), eccomi nuovamente con voi attraverso questa mia lettera di riflessione in occasione della Pasqua.
In questo ultimo mese, sono stato fortemente afflitto e provocato dalla morte di due miei carissimi amici, uno biscegliese e l´altro brasiliano: Mimì Capurso e José Ribamar Sousa Silva, uomini che hanno fortemente scosso la mia insensibilità e indifferenza.
Mimì l´ho conosciuto agli inizi degli anni 90 quando, parroco a Sant´Agostino, incuriosito dalle mie omelie, mi propose di realizzare insieme, lui, che si definiva cattocomunista e sognatore di una Chiesa in azione fuori dalle mura della sagrestia, una tavola rotonda sul tema: “Somalia perché?” e fondare il Comitato cittadino di solidarietà per lo sviluppo dei popoli.
Quel primo progetto non solo fece rafforzare la nostra amicizia, ma anche il nostro impegno socio-politico con una serie di iniziative che ebbero il sapore di attrarre e coinvolgere sempre più persone. Negli anni precedenti alla pandemia, ci incontravamo nella parrocchia della Madonna di Passavia o per strada, e, come un rito, puntualmente mi invitava a prenderci un caffè come pretesto per dialogare e continuare a sognare un mondo più umano e, soprattutto, come tradurre in gesti concreti i nostri sogni.
Durante la mia permanenza in Italia dello scorso anno, seppi che non stava più bene di salute e che viveva nella casa di riposo, ormai dimenticato e non visitato.
Quando seppi della sua morte, piansi amaramente, soprattutto al pensiero del proverbio locale, di ispirazione biblica: “Tu raccogli quello che hai seminato”, e non mi capacitavo perché sapevo che Mimì non ha raccolto quello che ha seminato: lui, a modo suo, ha sempre seminato comunione, attenzione agli ultimi e esclusi, amore per la legalità e la giustizia, costruendo ponti di pace e di solidarietà, mentre è morto nella più totale solitudine e abbandono, crocifisso anche dai chiodi della mia indifferenza.
Ribamar, invece, l´ho conosciuto quando ero parroco di San Benedetto a Pinheiro: un uomo gioioso e solare che faceva parte del movimento cattolico “Terço dos homens” (=il rosario degli uomini) e del gruppo teatrale di strada “A paixão de Cristo” (=Passione di Cristo), che annualmente rappresentava, in modo itinerante, due opere: la nascita di Cristo *lui era uno de Magi) e la Via Crucis (come uno degli apostoli).
Due anni fa, Ribamar entrò nel mondo dell´alcool e, abbandonando lavoro e famiglia, viveva per strada, avendo come unica compagnia e affetto (come mi raccontò) l´alcool.
Un giorno ci incrociammo casualmente e, lasciando da parte le cose che ero andato a fare nel centro della diocesi, mi misi ad ascoltare le sue disavventure: era diventato un uomo con l’animo ferito, svuotato, senza sogni e senza motivazioni, spento: non sapeva più che dire di sé, di come stava “dentro”; non sapeva se era arrabbiato con se stesso, deluso da qualcuno, ferito per un’ingiustizia; sapeva appena di sentirsi solo, triste, incompreso, abbandonato da tutti, perfino da Dio. Insomma, si sentiva morto ancor prima di morire!
Sentivo che aveva bisogno di aiuto per ritrovare fiducia in se stesso e speranza di vivere; di guardarsi davanti allo specchio della vita e chiedersi cosa volesse veramente, far venir fuori i suoi veri desideri e la voglia di cercare nuove strade, di vincere lo sconforto, di rimettersi in cammino: era quello il motivo del suo sfogo in tutta quella giornata.
Dopo fiumi di lacrime, mi ringraziò dicendo che sentiva dentro di sé il sapore dolce e fresco della speranza; sentiva quanto sia vero che la speranza non è un sogno, ma il modo per realizzare i nostri sogni. Ci scambiammo così il numero di cellulare per mantenerci in contatto: ogni giorno ci sentivamo e sembrava che Ribamar fosse rinato, anche se si lamentava che, nonostante la sua ripresa, era stato ormai abbandonato e dimenticato dai suoi vecchi amici, ma che sentiva profondamente la dolce presenza di Dio nella sua vita.
Poi, improvvisamente, nuovamente il silenzio: il suo cellulare sembrava spento, fino alla settimana scorsa quando ricevetti un messaggio della sua ex moglie che mi comunicava che Ribamar era stato ricoverato urgentemente in ospedale a causa di un ictus e sottoposto ad un intervento chirurgico molto delicato… Poi, il 10 marzo, la notizia della sua morte, insieme a quella della ricomparsa dei suoi amici di un tempo, che dopo due lunghi anni di silenzio, ora manifestavano il desiderio di fargli un “funerale come si deve”.
Come, allora, mi chiedevo, possiamo celebrare la bellezza della festa di Pasqua in questi contesti? Come possiamo immaginare di soddisfare il precetto pasquale se ancora oggi continuano tanti crocifissi a morire nel più totale abbandono e solitudine, nella nostra più fredda indifferenza e insensibilità?
Si, perché se vivessimo da autentici risorti dovremmo lavorare per eliminare le varie croci e usare “quel legno” per costruire ponti che facilitano gli incontri e accogliere tutti come una grande famiglia; non ci sarebbero più croci se, facendo nostra la vita di Dio, imparassimo a prenderci cura gli uni degli altri e vivessimo ogni giorno all´insegna della Pasqua, inondati dalla forza dello Spirito Santo.
Si, perché, come diceva don Tonino Bello, la Pasqua deve essere la festa delle pietre rotolate per rimuovere “la pietra enorme messa all’imboccatura dell’anima che non lascia filtrare l’ossigeno, che opprime in una morsa di gelo; che blocca ogni lama di luce, che impedisce la comunicazione con l’altro. É il macigno della solitudine, della miseria, della malattia, dell’odio, della disperazione del peccato“. Per questo motivo, vivere la Pasqua deve significare “per tutti il rotolare del macigno, la fine degli incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi e se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per rimuovere il macigno del sepolcro accanto, si ripeterà finalmente il miracolo che contrassegnò la resurrezione di Cristo“.
E così mi è capitato tra le mani un libro dove avevo sottolineato il significato che l´autore dava alla parola celebrare, intendendola come rendere celebre e importante la vita del Risorto in noi con azioni concrete che testimoniano il valore e la dignità della vita di ogni persona, proprio come Cristo che è venuto per dare una dignitosa vita, in abbondanza a tutti.
Si, celebrare Pasqua è rendere celebre, importante e significativa la vita: la mia, la tua, quella degli altri e, soprattutto, la vita di Cristo in ciascuno di noi: è vivere, agire, pensare, sentire come Gesù ha vissuto, agito, pensato e sentito; celebrare la Pasqua non è appena celebrare un rito, con il rischio che possa addirittura essere appena sterile e vuoto, ma sentire in noi il fuoco di amore del Signore che ci invita a rendere visibile e costruire un mondo invaso e pervaso dallo Spirito del Risorto.
Si, Dio è l´Emmanuele, il Dio vicino a noi in tutte le situazioni, buone e cattive; Dio non si tira indietro neppure di fronte al dolore e alla morte, anzi, affronta per primo il dolore e la morte e apre per tutti noi una nuova strada: grazie a Lui la speranza non è un sogno vuoto, ma un cammino percorribile; grazie a Lui la speranza non è un privilegio di pochi fortunati, ma dono per tutti. La Pasqua ci dice che ogni notte, per quanto possa essere lunga, si concluderà sempre con un’aurora.
Senza la Pasqua la nostra vita sarebbe un inesorabile correre affannoso verso la morte, verso il nulla: ma dentro di noi l’anelito alla vita è insopprimibile!
È Pasqua quando sappiamo incamminarci e correre verso la vita, proprio come fece Maria Maddalena che diventa per noi modello di amore per affrontare le varie morti e andare incontro ai crocifissi di tutti i tempi.
Maria, infatti, esce di casa quando era ancora buio, e ci insegna che l´amore ti fa perdere il sonno per stare accanto a chi ami: non si può restare tranquillamente a letto e girarsi dall´altra parte quando c’è gente sepolta viva sotto il peso di atroci sofferenze.
Maria Maddalena ci insegna che l´amore mette fretta: non c’è tempo da perdere quando qualcuno ha bisogno di te; l´amore accende la luce del nostro cuore e illumina il cammino, nonostante intorno ci possa essere solo le tenebre della paura e della indifferenza.
Si, l´amore non ci fa andare a testa bassa, con gli occhi concentrati su noi stessi, ma ci invita ad alzare lo sguardo non solo verso gli altri, ma anche verso l´orizzonte per volare alto, prendendo le distanze dalla mediocrità, dall´indifferenza e insensibilità, e sentire in noi il vero senso della vita nel dono di noi stessi.
Si, l´amore non si ferma né si esaurisce davanti agli ostacoli: chi ama e si mette in gioco per rotolare le pietre che soffocano la vita degli altri, non resterà mai da solo e sarà sempre sorpreso dall´Amore del Risorto che ci incoraggia ad eliminare gli ostacoli che impediscono l´accesso alla vita piena.
Coraggio, allora, che aspettiamo? L´aurora della Resurrezione manifesta tutta la sua luce e energia nei nostri cuori: rimbocchiamoci le maniche perché ci sono ancora tante pietre da rimuovere, a cominciare da quello che ci imprigiona nella tomba dell´egoismo e della indifferenza.
Buona Pasqua a ciascuno di voi e buon cammino di vita piena; sempre vostro in Cristo Risorto,
sac. Mario Pellegrino