SOS CARITAS…SOS PER CAMBIARE IL CUORE!
Gara di solidarietà e di amore nel donare una coperta a Gesù.
Il testo integrale di una lettera di Don Francesco Fruscio, Parroco di S. Andrea in Barletta, e Arciprete della Basilica Concattedrale S. Maria Maggiore, pervenuta in redazione nella serata di sabato 11 dicembre:
«Amici cari,
questa mattina, sono stato raggiunto da un messaggio WhatsApp da parte del direttore della Caritas di Barletta, il dott. Lorenzo Chieppa che diceva: «La nostra sede chiede coperte. Ormai le serate sono molto fredde e il bollettino meteo Caritas dice che le prossime giornate saranno intensamente gelide. Servono coperte o sacchi a pelo. Urgente! SOS FREDDO». Vi confido che dalle ore 8.18 di questa mattina -orario in cui ho ricevuto questo SOS- ho avvertito una inquietudine o come diceva il Venerabile don Tonino Bello, “una santa inquietudine…”.
La nostra Caritas cittadina ha già una struttura per accogliere i meno fortunati, e se il dott. Chieppa chiede coperte e sacchi a pelo, significa che mentre io sono al caldo della mia stanza a scrivervi questa missiva, tra le strade della nostra Barletta ci sono persone che non hanno un tetto e che sono costretti a dormire per strada coperti solo da cartoni.
Questa sera, leggendo il Vangelo che la liturgia ci fa proclamare in questa III Domenica di Avvento, mi sobbalzava agli occhi e al cuore la triplice domanda rivolta al Battista: «che cosa dobbiamo fare?» e pensavo al messaggio di Lorenzo…
Adesso ci interessa, fondamentalmente, una cosa: va bene la conversione, va bene cambiare mentalità e vedere Dio con altri occhi, ma alla fine, tirando le somme, in concreto… che cosa dobbiamo fare? E a quanto pare, non ce lo chiediamo solo noi, oggi, in questi giorni di preghiera e riflessione che precedono il Natale, nei quali veniamo “bombardati” a più riprese da parole che ci invitano alla conversione, a un Natale fatto di valori veri, di ritorno all’essenziale, di riscoperta delle cose che contano. Se lo sono chiesti anche gli uditori di Giovanni che correvano da lui per ascoltare il suo “vangelo” (egli infatti non solo battezzava, ma come ci ricorda Luca, “evangelizzava il popolo”): “Che cosa dobbiamo fare?”, è la provocazione ripetuta per ben tre volte, nel brano di oggi, da tre categorie differenti di persone accorse ad ascoltare Giovanni. Prima, in maniera generica, le folle; poi i pubblicani; infine, un gruppo di soldati. Tutti a chiedersi “Che cosa dobbiamo fare?”. Va bene la conversione: ma cosa significa in concreto?
Di realmente concreto, innanzitutto, c’è una cosa da osservare: tra gli interlocutori di Giovanni non c’è un solo elemento che appartenga alla sfera “religiosa” (oggi diremmo “clericale”). Non uno scriba, non un sacerdote, non un fariseo né un dottore della Legge: a loro, l’invito alla conversione non interessa, forse si sentono già a posto, o forse hanno ascoltato talmente tanti profeti, santoni e predicatori, che si sentono “abituati” da gente brava a utilizzare parole forti nel momento in cui la gente ha bisogno di sentirsi dire qualcosa di nuovo. A loro, i populismi non conquistano, e nemmeno interessano: il potere religioso è comunque nelle loro mani, la Parola di Dio la interpretano loro approfondendo la Legge, e il Tempio (e tutto l’oro che vi si trova) è gestito da loro. E questo, già la dice lunga: la conversione a cui Giovanni ricorda è fatta di gesti che non riguardano la pratica religiosa, perché per quella c’è già la Legge, il Tempio, la Sinagoga, le istituzioni.
“Fare qualcosa” per mettere in atto una conversione (cosa che un’istituzione religiosa difficilmente accetta) significa partire dalle cose concrete della vita, dal vissuto quotidiano: perché la conversione, il cambio di mentalità, o ti tocca sul vivo oppure rimane un bel discorso ricco di suggestioni, ma che non porta a niente.
E allora, occorre davvero fare qualcosa, ma con il sano realismo di chi, per cambiare il mondo, è cosciente di dover prima di tutto cambiare il proprio mondo, nel proprio contesto quotidiano, senza grandi stravolgimenti, ma facendo bene, e con onestà, il proprio dovere. Cosa a cui, di fatto, Giovanni richiama chi lo interroga. Sei un pubblicano, esattore delle tasse? Nessuno ti chiede di buttare all’aria la tua vita o di cessare di incassare le tasse (dolorose, ma necessarie al buon funzionamento dell’apparato statale): “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. E vi assicuro, è già molto, vista la nomea che voi pubblicani avete riguardo ai “balzelli” che mettete sulle tasse che riscuotete. Sei un militare, uno che si occupa dell’ordine pubblico e della custodia della legalità? “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe”. Eh, sì: perché il “fascino” legato all’indossare una divisa, “allora” (….), portava spesso ad abusi di potere, a estorsioni, ad atteggiamenti di padronanza sugli altri che altrimenti nella vita questi non avrebbero potuto permettersi, considerato il salario non certo esaltante che ricevevano (e pare che la storia non smetta di ripetersi, in questo senso).
E poi? Ci siamo noi, cari amici, c’è l’uomo e la donna qualunque, quelli della porta accanto, quelli comuni, quelli che non hanno peculiari incarichi e responsabilità: anche noi possiamo fare qualcosa? E se sì, che cosa? Le due opere di carità più essenziali: “Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”, alias “vestire gli ignudi e dar da mangiare agli affamati”. Che non è difficile per nessuno, tantomeno “hic et nunc”, “qui e ora”, che abbiamo gli armadi stracolmi di indumenti messi una sola volta (o magari neppure quella) e che soffriamo di malattie legate primariamente all’eccessivo benessere, più che alla malnutrizione.
Basta veramente poco, per porre in atto il cambiamento: se ognuno inizia a fare la propria parte, nel proprio piccolo… Per questo motivo e sulla Parola del Signore, vi invito a donare una coperta entro domani sera (domenica 12 dicembre) dopo la Messa delle ore 19 che saranno portate in Caritas. Potrete portare anche qualche alimento o meglio ancora dei termos con latte caldo che il nostro diacono don Felice con i giovani della parrocchia , doneranno nella serata di domani a coloro che troveranno in stazione e tra le strade della nostra città. Non mi pare che Giovanni ci chieda troppo…
Grazie di cuore a tutti i nostri parrocchiani e amici di Sant’Andrea. Buona gara di amore e solidarietà! A domani sera!»