Domenica 19 settembre ai Dialoghi di Trani sono intervenuti Mons. Leonardo D’Ascenzo, Vescovo dell’Arcidiocesi Trani-Barletta-Bisceglie, il professore di Criminologia Adolfo Ceretti e il giornalista Domenico Castellaneta. In questo incontro affiora una riflessione sulla pena detentiva che trova una chiara spiegazione con il pensiero del Cardinale Martini per il quale il crimine indebolisce e deturpa la personalità dell’individuo ma non la nega, non la distrugge, non la declassa al regno animale. Il professor Ceretti ritiene perciò che le leggi dovrebbero operare in funzione dell’affermazione dello sviluppo e del recupero della dignità di ogni persona e la pena dovrà pertanto essere concepita come un graduale cammino individuale del reo verso il recupero dei valori e della dimensione etica del suo io. “Questo perché – continua Ceretti – nella persona c’è sempre qualcosa di buono e quindi le istituzioni devono favorire l’ inclusione ed adottare una giustizia riparativa piuttosto che punitiva, una giustizia “dell’incontro”, efficace mezzo per rimarginare le ferite delle vittime”. Per Ceretti è importante il riconoscimento della colpa e quindi l’incontro consensuale tra il reo e la vittima porterebbe ad alleviare il dolore esistenziale di entrambi. La vittima, spesso presa da un istintivo moto di vendetta, riuscirebbe con questo incontro ad elaborare il dolore, un dolore come dice Ceretti che è “ un fotogramma della vita congelato nella memoria di chi ha subito un danno” . Per il reo, Ceretti ritiene sia giusto il carcere, ma la repressione di un male attraverso la detenzione risulta efficace solo per un primo momento, perchéi incapsulare il male e neutralizzarlo dietro le sbarre per salvaguardare la società non porta a nessuna soluzione del problema. Sottolinea Ceretti “è necessario relazionarsi con il reo, fare un lavoro ricompositivo e riconciliativo, in uno spazio non giudicante affinché esca dal suo silenzio e prenda consapevolezza dell’azione compiuta”. Il moderatore Castellaneta passa la parola al Mons. D’Ascenzo il quale intende la giustizia riparativa come ricomposizione della dignità umana: l’uomo può commettere azioni sbagliate ma la sua dignità non può mai essere sminuita ed oscurata con azioni repressive . “Inoltre – afferma Mons. D’Ascenzo – non si deve dimenticare che un atto criminoso sia causa di sofferenza non solo per la vittima, ma il dolore riguarda persone vicine al colpevole che soffrono in silenzio , come per esempio i figli dei criminali emarginati e stigmatizzati dalla società in quanto tali. Questo percorso di recupero dei valori riguarda un po’ tutti: tutti meritano la possibilità di riscattarsi e riabilitarsi ad uno stile di vita migliore del precedente”. Mons. D’Ascenzo ricorda che Adamo ed Eva dopo aver peccato si nascosero per paura del giudizio di Dio, ma Dio subito attuò un processo riparativo nei loro confronti, portandoli alla consapevolezza dell’azione peccaminosa e dando loro , attraverso le dure prove della vita quotidiana, una nuova possibilità . Conclude Mons. D’Ascenzo “ Dio ha messo Adamo ed Eva di fronte alla fatica e alla sofferenza della vita non per punirli, piuttosto per far comprendere la fragilità dell’essere uomo e il bisogno incessante di ogni creatura di relazionarsi e vivere in comunione con gli altri”.
Carla Anna Penza