Con tutte le Chiese che sono in Italia, abbiamo iniziato a percorrere la terza tappa del cammino sinodale, la fase profetica. In questo anno pastorale, come recita il titolo del nostro convegno, cercheremo di crescere come singoli e come comunità diocesana per saper meglio Leggere il presente con occhi di Pentecoste. Abbiamo bisogno di camminare insieme, in comunione, per ascoltare lo Spirito che ci parla. Abbiamo bisogno di occhi di Pentecoste, di cuori nuovi, per uno sguardo di speranza, per leggere il presente e riconoscervi l’opera dello Spirito, per scegliere e attuare ciò che ci suggerisce.
Come abbiamo ascoltato dal vangelo delle domeniche passate, Gesù, nel cammino con i discepoli verso Gerusalemme, per due volte aveva annunciato che era diretto verso la morte, verso il dono totale della sua vita. I discepoli che avevano lasciato tutto per seguirlo manifestavano il loro disagio, non comprendevano e parlavano di potere, di comando, di chi fosse il più importante.
Il testo di Marco appena proclamato, in continuità con questa tematica, ci fa riflettere su due aspetti importanti per il cammino sinodale nella fase profetica: la nostra relazione con Dio e il servizio come ci viene proposto da Gesù.
Il primo aspetto di riflessione riguarda la relazione con Dio.
I due figli di Zebedèo, Giacomo e Giovanni, come gli altri apostoli, per seguire Gesù hanno lasciato tutto, sono persone generose e coraggiose. Si avvicinano a Lui… chiedono che faccia qualcosa secondo le loro attese. Chiedono, vogliono che Gesù agisca.
“Vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”. Tentano di piegare l’azione di Gesù alla loro volontà. A volte è quello che facciamo anche noi quando preghiamo: chiediamo a Dio di intervenire e di fare secondo le nostre domande. Noi chiediamo e Dio dovrebbe rispondere.
In realtà le cose stanno in modo diverso. Pensiamo a quello che avviene nella vita di Gesù: lo Spirito lo spinge nel deserto e lui risponde andando nel deserto; lo Spirito lo muove ad iniziare il ministero pubblico e lui risponde iniziando il ministero dell’annuncio del Regno; il Padre gli chiede il sacrificio della morte in croce e Lui in obbedienza accoglie questa volontà.
Nella relazione con Dio, quando preghiamo, è Lui che ci parla e manifesta le sue attese e siamo noi a dover rispondere. In questa celebrazione della messa, le letture proclamate sono Parola di Dio, Dio che parla e ci manifesta la sua volontà, le sue attese.
Ci domanda qualcosa… e siamo noi a dover rispondere.
Nel cammino sinodale, la conversazione nello Spirito ci aiuta a metterci in ascolto reciproco per ascoltare ciò che lo Spirito Santo vuole comunicarci. È evidente che, come Chiesa, senza l’ascolto degli altri e dello Spirito, non possiamo costruire il cammino da percorrere, ed è altrettanto evidente che non possiamo vivere la preghiera come un chiedere a Dio di aiutarci a realizzare quello che, da parte nostra, abbiamo già pianificato. Non dimentichiamolo: nella preghiera, nella conversazione nello Spirito chi chiede, chi manifesta delle attese è Lui. Chi risponde siamo noi. Solo a partire da questa modalità di relazione, da questo stile assimilato e praticato possiamo, attraverso il discernimento, arrivare a delle scelte condivise che sono la nostra risposta da vivere e realizzare.
Il servizio è il secondo aspetto importante di riflessione per la fase profetica, e oggi, in modo particolare, per tutti gli operatori pastorali che chiedono il rinnovo del mandato.
“Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”. Giacomo e Giovanni chiedono di diventare grandi, di essere importanti.
Molte volte anche noi, laici, consacrati o presbiteri desideriamo essere importanti, metterci in vista, avere un ruolo di rilievo, essere riconosciuti al vertice di un qualche servizio nell’ambito della pastorale, della liturgia e anche della carità. Nella Chiesa però, non dimentichiamolo, ogni cosa non può che nascere dal servizio o essere ricondotta al servizio. Quando, nella comunità ecclesiale, si vuole essere al comando nell’ambito del servizio, si cade nella contraddizione. Comando e servizio: o l’uno o l’altro. Questa specie di virus, dobbiamo riconoscerlo, è ancora presente, come accennavo, nell’ambito della pastorale, della liturgia e della carità.
Quando ci viene affidato un servizio e diciamo di fare tutto a vantaggio della Chiesa, per obbedire alla volontà di Dio, va bene. Il punto dolente, però, è quando ci viene tolta una responsabilità, un qualsiasi ruolo che ci era stato affidato per il bene degli altri. Come reagiamo? Ci sentiamo contenti e sperimentiamo gratitudine per quello che siamo riusciti a fare e manteniamo la logica del servizio, magari in una modalità più discreta, senza stare al centro, oppure ci sentiamo defraudati di ciò che sotto sotto pensavamo fosse di nostra proprietà, e soltanto noi in grado di portarla avanti? Quando viviamo questa seconda situazione, finiamo per rattristarci, agitarci, lamentarci, seminiamo critiche, malcontento, parliamo male…
È fondamentale quello che ci ricorda Gesù nel vangelo di oggi: tra di noi non possono esserci logiche di dominio o di oppressione perché «chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti». Il Signore ci aiuti ad essere sempre di più somiglianti a lui che «non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Siamo a servizio degli altri oppure ci serviamo di loro?
È la domanda con la quale dovremmo sempre confrontarci, soprattutto nel discernimento che faremo in questo anno pastorale sulla vita delle nostre realtà ecclesiali.
Servire, non servirsi, avendo come orizzonte quello della Chiesa missionaria e prossima. Servire, non servirsi, in quelle scelte che, in risposta allo Spirito Santo, andremo a prendere in rapporto agli ambiti della formazione, dei giovani, della cultura e della corresponsabilità.
Come ricorda Papa Francesco «… Il Sinodo, data la sua importanza, in un certo senso ci chiede di essere “grandi” – nella mente, nel cuore, nelle vedute –, … l’unica via per essere “all’altezza” del compito che ci è affidato, è quella di abbassarci, di farci piccoli e di accoglierci a vicenda come tali, con umiltà. Il più alto nella Chiesa è quello che si abbassa di più» (Omelia pronunciata in Piazza San Pietro, il 2 ottobre 2024, all’apertura dell’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi).
Omelia Arcivescovo nella Festa della Chiesa Diocesana 19.10.2024